interviste

manifuture 2014

23 dicembre 2014 – www.manifuture.it

Quando l’architetto incontra l’artigiano. Intervista all’Atelier Medeaa di Udine

by Giulia Peccol | 2014

Progettazione architettonica, interior design, grafica e fotografia d’architettura. Sono i servizi che offre Medeaa, un atelier di architettura – fondato dagli architetti Chiara Marchetti e Andrea De Luca – che ha sede a Udine.
Lo studio opera spesso in collaborazione con aziende artigiane. Li abbiamo intervistati per saperne di più sul rapporto tra architettura, design e artigianato.

1) Quali sono gli artigiani con cui collaborate più spesso?
Come capita alla maggior parte degli architetti, lavoriamo spesso con falegnami sia per la realizzazione di mobili su misura o, più di sovente, per la realizzazione di soluzioni ad hoc per porte scorrevoli, controsoffitti o altro. Altro artigiano con cui collaboriamo è il fabbro poiché capita di dover realizzare pezzi unici per risolvere situazioni particolari, come nel caso di una scala alla marinara realizzata per una casa in montagna in Alto Adige.

2) Come li individuate? In base a quali requisiti?
In un recente lavoro nei pressi di Perugia in Umbria, non essendo il nostro territorio, ci siamo affidati a dei nominativi suggeriti dal cliente. Ci siamo recati nei laboratori di ognuno ed abbiamo provato ad esporgli le nostre idee vedendo come reagivano e come si sviluppava il dialogo. Questa prima fase conoscitiva è stata molto utile per capire se c’era sintonia e volontà di sviluppare nuovi progetti in collaborazione. Ultimo, ma non decisivo, è stato il prezzo offerto poiché è inevitabile che alla fine si valuti anche quello. Si è comunque guardato soprattutto al rapporto qualità-prezzo e alla disponibilità offerta. Normalmente invece qui in Friuli tendiamo ad affidarci agli artigiani con i quali abbiamo già lavorato, prediligendo i giovani, portatori di passione ed energie fresche.

3) Avete mai instaurato una collaborazione continuativa con alcuni di questi?
Data la natura della nostra professione è difficile instaurare collaborazioni realmente continuative ma, indubbiamente, si tende dopo una serie di lavori realizzati con lo stesso artigiano, a continuare la collaborazione perché ormai si è entrati “in sintonia”, ci si conosce e il lavoro diventa più semplice. Ogni architetto ha le proprie manie e se l’artigiano le conosce, lo può anticipare e meglio assecondare, di contro, la conoscenza del modo di lavorare di un artigiano, lo stare insieme “in laboratorio” è un aiuto importante per il progettista che si confronta con la realtà del fare.

4) Nel caso in cui vi venga richiesta la progettazione di un mobile in legno, ritenete utile coinvolgere il falegname in fase di progettazione oppure preferite che segua semplicemente il vostro disegno alla lettera?
Indubbiamente dopo una prima fase dove ci confrontiamo tra di noi per decidere e capire quali linee estetiche e funzionali dovrà avere il mobile che stiamo progettando, riteniamo utile sottoporre queste prime idee al falegname. Tutto ciò per capirne la fattibilità dal punto di vista tecnico ma anche capire quanto ci si può spingere in avanti con le caratteristiche del materiale, la scelta dell’essenza, etc. Il legno è poi un materiale vivo che richiede molta attenzione nel modo in cui viene preparato, lavorato ed assemblato e quindi il confronto nelle prime fasi diventa decisivo per non incorrere poi in banali errori che andrebbero ad inficiare la qualità finale.

5) Quando le competenze culturali e professionali dell’architetto si sposano con la sapienza tecnico-costruttiva dell’artigiano nascono dei progetti molto interessanti. Quale collaborazione per voi è stata quella più significativa?
Ci verrebbe da dire che tutte le volte che si riescono a fondere questi due mondi i risultati sono sempre eccezionali. In realtà però poi non è così poiché le variabili in gioco sono sempre tante e diverse. Indubbiamente la fusione tra la cultura, intesa come proprio bagaglio di conoscenze, e la capacità di sognare e quindi di immaginarsi “l’altro” e il non consueto – caratteristica che riscontriamo in molti nostri giovani colleghi – con la manualità, la tradizione e il saper fare prettamente del mondo artigiano è vincente. Lo è perché unisce per certi versi la tradizione e l’innovazione, intesa sia del prodotto in senso stretto ma anche del modo di concepirlo. Non è un caso se il nostro non è uno studio ma un atelier d’architettura. Sembrerà una differenza di poco conto ma la scelta non è stata casuale e voleva segnalare e significare un’attenzione al progetto, alla realizzazione quasi artigianale, “sartoriale”. Pensare quindi a edifici, arredi ed altro, cuciti addosso al cliente come avrebbe fatto un sarto. Tornando alla domanda comunque, la collaborazione più significativa è sempre l’ultima poiché con ogni esperienza si va sempre più lontano.

6) Come interpretate la relazione tra architettura, design e artigianato?
La relazione per noi è fortissima e in passato questi tre elementi erano legati indissolubilmente. Negli ultimi anni questo rapporto è via via cambiato per vari fattori, uno di questi la grande produzione di mobili “pronti da montare”, di cui l’Ikea è l’esempio più eclatante. Fino a qualche anno fa era normale pensare un progetto di architettura nella sua interezza, partendo dalla “scatola” architettonica, studiandone il suo inserimento nel contesto e disegnando anche il suo esterno, per arrivare a studiare fino in scala al vero ogni piccolo particolare, ogni dettaglio. Le parole di Mies van der Rohe “Dio è nei dettagli”, per noi riassumono bene l’idea stessa di architettura ma anche di design e artigianato. La cura del dettaglio, l’attenzione che a volte potrà sembrare maniacale nello studio di un nodo, di un materiale, diventano i punti fondamentali di ogni realizzazione. Quei particolari che daranno senso al tutto, che faranno fare a quella realizzazione il salto di qualità, indifferentemente se si parli di architettura, di design o di artigianato.

7) Quale significato assume la parola sostenibilità nella realizzazione dei vostri progetti?
Sinceramente la parola sostenibilità ci è diventata un po’ indigesta quando si parla di architettura. Non il significato della parola stessa ma l’uso che negli ultimi tempi se ne è fatto. È stata usata più come mezzo di promozione, di marketing che dando realmente peso al suo reale significato. Se si pensa che già nel passato, per esempio i romani, costruivano le loro dimore con grande attenzione all’irraggiamento solare, si capisce che la sostenibilità non è una novità. Se si parla quindi di architettura, non è necessario parlare di sostenibilità. Tornando a noi, quando ci viene chiesto di pensare ad un nuovo edificio o di ristrutturarne uno esistente il nostro punto di partenza è lo stesso: studiare dove siamo, capirne il genius loci. Da lì in poi il progetto prenderà il suo sviluppo accogliendo tutte le richieste sostanziali del cliente, lasciando a noi la scelta di quelle formali. Tra queste scelte ci saranno quelle della corretta esposizione solare, della scelta dei materiali più adatti al progetto e più durevoli. Non dimentichiamoci che costruire in maniera sostenibile significa anche evitare gli sprechi: spreco di materiale, spreco di tempo, e spreco di denaro. Tutto questo però non dimenticando quella che Vitruvio chiamava Venustas, la bellezza, che non dovrebbe mai mancare in un’opera di architettura o di design. Parlando proprio di design, oggi più che mai è importante che gli oggetti che ci immaginiamo rispondano ad esigenze indubbiamente funzionali ed estetiche, ma anche di rispetto dell’ambiente in cui viviamo. Scegliere di lavorare con artigiani che lavorano le materie prime con prodotti naturali e che nel corso delle lavorazioni tengano alti standard qualitativi è per noi fondamentale. Fondamentale è poi anche pensare al ciclo vitale complessivo dell’oggetto che andiamo a pensare e realizzare.